
Raggruppati l’uno accanto all’altro, fanno capolino dalla vegetazione che attecchisce sulla terra arida e secca, tre Ominidi appartenenti rispettivamente al genere Australopithecus e Paranthropus.
Timoroso, un giovane Parantropo osserva lo spettatore, accosciato fra gli arbusti e pronto a darsi alla fuga. Un’alimentazione opportunista che sfrutta ampiamente tutto quanto la pur arida savana può offrire ne garantirà la sopravvivenza sino ad un milione di anni da oggi. La dentatura robustissima gli consente di cibarsi anche dei vegetali più duri e di raggiungere una taglia considerevole che, negli esemplari maschili, può toccare anche i 50-60 chilogrammi.
Dietro di lui, un altro Parantropo, dal corpo massiccio e dalla muscolatura possente, svetta sull’Australopiteco africano.
Dalla parte opposta siede un Homo habilis intento a fabbricare strumenti, con una tecnica primitiva, ma efficacissima. Colpendo ripetutamente una grossa pietra appoggiata al terreno con un’altra egli riuscirà ben presto a staccare alcune schegge affilate e taglienti, ottimali per molti usi. Rispetto ai suoi contemporanei Parantropi, il volto di Homo habilis ha già, qualcosa di umano e appare già orientato verso lo sviluppo di un aspetto assolutamente originale rispetto a tutti gli altri esseri viventi: la cultura. Ne sono il presupposto non solo il progressivo aumento di dimensioni e la complessità del cervello, ma anche una capacità di presa di precisione che si realizza tramite l’opponibilità del pollice rispetto alle altre dita.
Torna al percorso museale