
Scoperta nel 1871 da Francesco Orsoni, che qui spese gran parte della sua tormentata avventura umana, con la sua imponente stratificazione archeologica addossata alla parete esterna, presso l’imboccatura principale, e con altri ritrovamenti nelle concamerazioni interne, la grotta mostra di essere stata frequentata per tutta l'età del Bronzo.
Nonostante la grande quantità di resti archeologici, di semi e di ossa che ci informano sui più svariati aspetti della vita quotidiana dei suoi frequentatori, l'anfratto non ha mai ospitato un abitato a carattere fisso, quanto una serie di ripari, visitati stagione dopo stagione e utilizzati come residenze temporanee da gruppi dediti alla pastorizia e alla caccia.
Alle pratiche pastorali, che potevano comportare la permanenza in loco anche per alcuni mesi, si riferiscono ad esempio i vasi forati per la lavorazione dei latticini e i frammenti di argilla cotta utilizzata per intonacare strutture divisorie per la recinzione e la stabulazione degli animali.
Il ricorso sistematico delle comunità del Bronzo a molte delle risorse naturali disponibili, quali il gesso, è testimoniato nella Grotta Serafino Calindri. Qui, infatti, manufatti in scagliola (resti di intonaci e sostegni per vasi) rivelano il precoce sfruttamento di questo nuovo "materiale", mai fino ad allora entrato a far parte dei processi produttivi, e il possesso di cognizioni sulle qualità materiche e la duttilità del gesso disidratato e polverizzato quando entra in miscelazione con l’acqua.
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